Lettura critica del programma americano di primo aiuto per prevenire stragi

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 09 maggio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

(Prima Parte)

 

1. Introduzione. Il comportamentismo decisionista che ispira i corsi di formazione psichiatrica di breve durata attualmente in auge negli Stati Uniti, è quanto di più distante si possa immaginare dalla concezione fenomenologica della pratica psichiatrica dell’autrice di questo testo. Ma la differenza non pone in questione un paragone fra paradigmi diagnostici, che possono avere molti aspetti comuni, pone piuttosto il problema di un atteggiamento complessivo nei confronti della persona con disturbi mentali. Non si tratta, infatti, di una distanza basata sulla concezione eziopatogenetica delle malattie mentali, come avveniva in passato fra gli approcci psicodinamico, relazionale, fenomenologico od organicistico: oggi abbiamo tutti nozione dell’importanza di alterazioni cerebrali molecolari, cellulari e sistemiche che, interagendo in vario modo con l’ambiente, contribuiscono in modo significativo alla traduzione di un endofenotipo patologico in un quadro clinico. La questione credo si debba porre in questi termini: il disturbo mentale può essere descritto e compreso come un ittero ostruttivo, un esantema dell’infanzia, una porpora trombocitopenica o un diabete mellito, oppure è necessario riportare il quadro sintomatologico ad una conoscenza umana, esistenziale e psicologica della persona?

La ragione che ha indotto la commissione scientifica della nostra società a chiedermi di occuparmi del programma di formazione MHFA è l’enorme diffusione di una concezione della psichiatria e dei disturbi mentali involontariamente veicolata da questi corsi e potenzialmente in grado di generare una sottocultura psichiatrica che, come la falsa scienza, può rivelarsi peggiore dell’ignoranza. Quando dico “involontariamente”, mi riferisco anche ad elementi impliciti nella struttura del progetto, come la durata di poche ore del corso e l’indiscriminata somministrazione di elenchi di sintomi ed istruzioni a qualsiasi persona, indipendentemente dagli studi compiuti e dalle conoscenze di cui dispone. Implicitamente, dunque, si suppone che la psichiatria si possa ridurre in pillole simili alle indicazioni dei manualetti d’uso dei piccoli elettrodomestici.

I fini di questo piano di “informazione di massa” sono apprezzabili e gli intenti dei suoi propugnatori senz’altro lodevoli; ma, a parte un’obiezione di fondo relativa alla possibilità che la materia psichiatrica possa essere oggetto di informazione e non richieda una lunga ed articolata formazione, è proprio la logica a suscitare molte perplessità. Infatti, sembra essere quella delle misure informative della popolazione in caso di calamità naturali, epidemie o altri fenomeni che suscitano allarme sociale, proposte in termini di know-how, alla stregua della condotta da tenere in caso di incendio o terremoto.

 

2. Un corso per tutti. Ricordate, fra le notizie di cronaca, l’uccisione di dodici persone a Washington da parte di un tecnico della Marina Militare statunitense e, in precedenza, la strage di 26 fra bambini e insegnanti di una scuola elementare del Connecticut e, in Arizona, l’uccisione di sei persone e il ferimento di tredici, inclusa una parlamentare? Queste stragi avevano in comune che l’esecutore era una persona affetta da un grave disturbo mentale. Negli USA, le proporzioni del problema della pericolosità sociale non riconosciuta di malati di mente sono notevoli, e si rendono evidenti se ai pochi clamorosi episodi segnati da omicidi multipli si aggiungono gli innumerevoli casi in cui le vittime sopravvivono o le aggressioni sono perpetrate con armi bianche e improprie.

Dei due versanti del problema, cioè quello di sicurezza pubblica e quello di salute mentale, il secondo ha creato più discussioni e dibattiti in sedi istituzionali, inclusa quella parlamentare, anche perché, esclusa la possibilità di vietare l’uso delle armi da fuoco da parte dei civili[1], non rimaneva molto altro da proporre per aumentare la sicurezza dei cittadini. Un annoso problema, che riporta noi italiani all’epoca dell’introduzione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO) nella pratica psichiatrica, quando, prima che si giungesse agli automatismi procedurali attualmente in uso, il magistrato, che interveniva in ogni caso, poneva l’immancabile richiesta allo psichiatra di stima della pericolosità della persona in questione. Visto che la previsione certa di un’azione aggressiva grave nei singoli casi è quasi impossibile e che la gravità dell’esito dipende da numerosi fattori, inclusi elementi ambientali e circostanziali, si provava a definire l’ordine di probabilità in rapporto alla statistica per tipo di patologia, allo stato attuale del paziente, alla possibilità e all’efficacia di trattamenti farmacologici e psicoterapici. Uno sforzo che risultava insoddisfacente per l’uomo di legge e problematico se non conflittuale per lo psichiatra. Infatti, si chiedeva al medico, come se fosse la prognosi di una malattia internistica con un decorso regolare, di prevedere la possibilità di azioni del malato di mente, come se queste fossero una manifestazione costante e caratteristica di un certo stadio della malattia e non la risultante della sua interazione con l’ambiente. È vero che esistevano ed esistono casi in cui è facile prevedere quanto potrà accadere, come quando una persona depressa che rifiuta il trattamento tenta ripetutamente il suicidio, ma è anche vero che nella maggior parte dei casi le possibilità di previsione sono limitate al breve termine, richiedono una profonda conoscenza del paziente e una speciale attitudine alla comprensione psicologica dell’altro, anche quando è molto diverso da noi. Attitudine che non è un talento di tutti e, soprattutto, non è oggetto di insegnamento nelle scuole di psichiatria[2].

Il Ministero della Salute del Governo Federale degli Stati Uniti, col supporto delle istituzioni a tutela della salute mentale dei National Institutes of Health (NIH) e della Substance Abuse and Mental Health Services Administration (SAMHSA), ha deciso di affrontare questo problema con un programma di formazione della durata di otto ore, rivolto al maggior numero di categorie di cittadini possibile, e finalizzato ad insegnare il riconoscimento dei sintomi delle principali malattie mentali e il miglior modo di indurre le persone affette a sottoporsi alle cure disponibili.

Il programma, chiamato Mental Health First Aid (MHFA), non è originale, ma è stato quasi integralmente ripreso da un protocollo originariamente sviluppato in Australia e poi adattato per l’uso in 23 paesi diversi.

 

[continua]

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la revisione del testo ed invita alla lettura dei numerosi scritti di argomento psichiatrico che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-09 maggio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] È perfino superfluo sottolineare che la proibizione della vendita e dell’uso delle armi, quando e dove è stata applicata, ha ottenuto effetti risolutivi.

[2] Cfr. G. Perrella, Problemi di merito e metodo nella formazione e nella pratica psichiatrica (1981-1983); BM&L-Italia (riedito), Firenze 2003.